Socrate di fronte alla morte, non ha rimpianti perché ha degnamente vissuto:
L’ora della partenza è arrivata e noi dobbiamo seguire le nostre strade. La mia è quella di morire, la vostra è quella di vivere. Quale è meglio? Solo Dio lo sa.
In questo lungo anno di sofferenza, solitudine, malattia, risulta evidente lo smarrimento dell’uomo di fronte alla morte. La morte sembrava vinta, sembrava uscita di scena dal teatro dell’assurdo dell’uomo postmoderno. A volte capitava un fugace incontro, una rimembranza di antichi riti in insignificanti templi cristiani o in sale abbellite per l’occasione. Il tempo di un saluto, poi di nuovo nella frenesia della produzione e del consumo, in un’eterna giovinezza al riparo dagli eventi nefasti. Una mentalità vitalistica e implicitamente distruttiva. Thánatos è il nome con cui gli antichi definivano la morte, figlio della Notte e gemello del dio Sonno. Per quanto cerchiamo di essere felici, di allontanare da noi i cattivi pensieri, non si può scappare dalla morte, arriva inesorabile. Tuttavia come afferma Pascal
Nonostante tutte queste miserie, l’uomo vuol essere felice, e vuole soltanto esser felice, e non può non voler esser tale. Ma come fare? per riuscirci, dovrebbe rendersi immortale; siccome non lo può, ha risolto di astenersi dal pensare alla morte. Pensieri, 351
L’uomo occidentale è molto debole di fronte alla possibilità di morire, a differenza delle altre culture giudicate pre-industriali o terzomondiste in cui si conserva ancora un rapporto diretto con la morte. In certe zone dell’Africa i bambini entrano a contatto con la morte fin dai primi anni di vita, anche con la morte di altri bambini che nei paesi civilizzati è un discorso riservato ormai quasi solamente alle interruzioni di gravidanza. In un costante martellamento pandemico non abbiamo gli strumenti adatti per comprendere il significato della morte. La premessa fondamentale utilizzata dall’uomo occidentale per costruire il suo mondo è stata l’assenza della morte, in alternativa la presenza eccezionale soltanto in alcune categorie svantaggiate. In ultima analisi, il ricorso all’eutanasia per facilitare le ultime operazioni, un sorta di sublimazione della morte stessa. L’uomo occidentale non era pronto a morire, come oggi non è pronto alla possibilità di poter morire. Forse occorre recuperare la presenza della morte in una prospettiva vera, sana, autentica dell’esistenza. O subiremo la pressione mostruosa del potere che, a tutti i livelli, spaventa e controlla i malcapitati. In un complesso libro intitolato Essere e Tempo, Martin Heidegger delineava il significato della morte nell’orizzonte dell’esistenza: nella vita comune, quotidiana, affettiva, l’individuo allontana costantemente il pensiero della morte che invece rimane la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile.
Si dice: «La morte verrà certamente, ma, per ora, non ancora». […] Questo pensiero è costantemente rimandato a un «più tardi», facendo appello alla cosiddetta «opinione generale». In tal modo il Si nasconde ciò che la certezza della morte ha di caratteristico, ossia che essa è possibile a ogni attimo. La certezza della morte si accompagna alla indeterminatezza del suo «quando». M. Heidegger, Essere e Tempo
L’uomo che non scopre una visione autentica della vita, che non si apre a questa possibilità, che non diventa un essere-per-la-morte ristagna in una condizione di alienazione, paura, finzione. Rimane in una situazione di chiusura, prigionia, in quella che S. Paolo definisce schiavitù, delineando un’analogia tra morte fisica e morte spirituale
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Lettera agli Ebrei, Capitolo 2
Se si elimina la prospettiva della morte, la stessa prospettiva della vita è mancante, parziale, falsificata. Occorre ricordare che i cambiamenti, le rivoluzioni, le pandemie, si verificano in una situazione storica determinata in cui gli uomini rispondono in base alle proprie convinzioni, credenze, speranze. Se l’uomo riconosce di avere una direzione, un senso finale, orienterà i suoi passi con attenzione, vivendo la bellezza e la gratuità di ciò che si è ricevuto. Non perderà la direzione e manterrà il senso della vita, seppur nella prova, seppur di fronte alla morte. Viceversa un uomo che, pur vivendo un’esistenza piacevole e tranquilla, non è capace di vivere, allora sarà sorpreso dalla morte. Sant’Alberto Hurtado propone un’immagine esistenziale, utile per coloro che sono in cerca di una direzione
In una nave, il pilota negligente viene licenziato in tronco, perché quello che ha in mano è troppo sacro. E nella vita, noi stiamo attenti alla nostra rotta? Qual è la tua rotta? Se fosse necessario soffermarsi un po’ di più su questa idea, chiedo a ciascuno di voi di attribuirle la massima importanza, perché riuscire in questo equivale semplicemente ad avere successo; fallire in questo equivale semplicemente a fallire.