Cari studenti,
la campanella dell’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola ci avvisa che il tempo a nostra disposizione è terminato. Da domani non condivideremo più lo stesso ritrovo. Per alcuni di voi sarà una liberazione, per altri una sfortuna, per molti non significherà nulla. Appena ieri sono entrato nella vostra aula e nella vostra vita e già devo lasciarvi. L’ultimo giorno di scuola produce in me una quantità di domande a cui non so trovare risposta: avranno capito qualcosa di ciò che ho spiegato? saranno in grado di utilizzare gli strumenti che abbiamo creato insieme? riusciranno a non lasciarsi ingannare dai facili ragionamenti? metteranno in pratica quell’ascolto fecondo che ho cercato di trasmettere? saranno in grado di distinguere impulsi-sentimenti-pensieri? avranno compreso che volevo veramente il loro bene aldilà dei voti, dei richiami, delle mancanze?
Ora che siamo in procinto di salutarci vorrei assegnare a tutti voi un ultimo importante compito che non sarà valutato e per questo deve essere necessariamente eseguito. I primi giorni di scuola vi ho chiesto di portare nelle nostre lezioni tre cose: umiltà, sofferenza e coraggio. L’umiltà come capacità di ascoltare, di mettere da parte le proprie convinzioni. L’umiltà come capacità di dare spazio agli altri, al loro pensiero e al loro vissuto. La sofferenza come conseguenza dell’impegno, della responsabilità, della giustizia. La sofferenza che si nutre di passione, il sacro legame tra amore e dolore. Il coraggio come l’azione del protagonista, il coraggio di chi agisce con il cuore. Il coraggio di chi sa di dover tagliare con ciò che lo danneggia. Il coraggio di chi sa chiedere aiuto quando non ha più forze,
Ora che ognuno di noi andrà per la sua strada, sarà più difficile incontrarsi, rimanere in contatto, condividere gioie e delusioni. Sarà più facile se tutti eseguiremo l’ultimo compito. Mi piacerebbe illudervi, dirvi che riuscirete a farlo in poco tempo, che sarà facile e poco noioso, vorrei dirvi che sarete tutti in grado di realizzarlo. Ma non è così. L’ultimo compito consiste nell’essere felici.
Il tempo che vi aspetta potrebbe sembrare spensierato, libero, illimitato. Abbiamo discusso a lungo sulla differenza tra piacere e felicità. Qualcuno ha capito, molti continuano a rimanere fermi nelle loro convinzioni. Siate felici, vivete la vita come un viaggio in cui avete una meta e una casa a cui tornare per poi ripartire. Siate felici, vivete la vita come una scala che sale e che scende a seconda delle persone che volete incontrare. Siate felici, vivete la vita come una lotta in cui nel bene e nel male accettate il combattimento. Siate felici, vivete la vita in pienezza, nel significato più autentico dell’amore, nel significato più autentico della libertà, nel significato più autentico della speranza. Siate felici, vivete quella nobiltà che Dio ha pensato per voi e per il compito che dovete realizzare: ricordate, la nobiltà si definisce per l’esigenza, per gli obblighi a cui si è chiamati, non per i privilegi e i diritti indefiniti.
Vivete il vostro tempo sbagliando e non indugiando nell’errore, vivete il vostro tempo provando e non cadendo nella banalità, vivete il vostro tempo in compagnia e imparando a rimanere soli. Per quello che può servire, ricordatevi che un insegnante di filosofia è un classico che vale per sempre, come quel gioiello che regala la nonna. Rimango in attesa di vedervi felici, liberi e innamorati e poter dire ancora una volta, insieme, che la vita è meravigliosa.