Oggi viviamo nell’era delle comunicazione. Comunico ergo sum. La socialità è direttamente proporzionale alla capacità comunicativa. Siamo diventati tante piccole stazioni emittenti. Ci preoccupiamo di arrivare primi sulle notizie, di inviarle prima degli altri, ci preoccupiamo di fotografare il nostro cibo prima ancora di mangiarlo. Partecipiamo agli eventi inviando i nostri messaggi, i nostri video, sentendoci parte di una grande collettività virtuale. I mezzi di comunicazione sono ormai entrati nella nostra vita quotidiana e la nostra vita quotidiana entra nei mezzi di comunicazione. La barriera che separava il pubblico dal privato è ormai sparita, la porta di casa è sempre aperta. A chiunque. Anche il nostro stato di salute, il nostro orientamento sessuale, le foto più intime, sono gettate nel grande mondo della comunicazione.
Conversare è bello. Solitamente utilizziamo questo termine come sinonimo di parlare, discorrere insieme su qualcosa. Ho svolto una piacevole conversazione non significa tanto comunicare. Il termine conversare rimanda al latino cum-versari che vuol dire propriamente mettere insieme. Anticamente quando si stava insieme, ci si fermava a parlare, tra pari si era soliti bere vino, si era soliti versare insieme il vino. Il conversare è la pratica degli uomini liberi che amano stare insieme, senza fretta. Il conversare è l’atto con cui non solamente parliamo e ascoltiamo ma è l’arte di condividere insieme ad altri la vita nella sua interezza. Quando siamo a tavola con qualcuno non soltanto mangiamo o beviamo ma condividiamo un’esperienza, un gusto. Insieme ci soffermiamo sulle gioie e sui dolori, sulle preoccupazioni e sulle speranze. Il conversare è propriamente degli uomini liberi che hanno terminato i loro compiti e possono fisicamente incontrarsi, guardarsi, amarsi.
A tal proposito Orazio in un suo celebre verso scriveva Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus che significa ora bisogna bere, ora bisogna far risuonare la terra con il piede libero. Questo brindisi simbolico era stato proposto dopo la sconfitta di Cleopatra che per Roma ha rappresentato un grande nemico. Il poeta invita a celebrare la vittoria con un brindisi, versando insieme il vino da uomini liberi. Dopo il pericolo, la paura, la lotta, bisogna ritrovarsi, bisogna stare insieme. Non basta un messaggio, una faccina, un emoticon. Occorre tornare ad essere presenti, a godere della libertà, che non è un diritto ma un’espressione della nostra umanità.
D’altra parte anche Cristo nell’ultima cena ha passato la coppa del vino, è stato con i suoi discepoli a celebrare la Pasqua, ha conversato con loro. Ma in Cristo il vino è il suo sangue. Per i cristiani l’eucarestia è dunque una conversazione in cui si sta insieme grazie al sacrificio eucaristico, in cui occorre prendere il vino come bevanda di salvezza. Per questo l’elemento corporeo, materiale, reale è fondamentale per vivere la fede. La comunicazione è forse oggi sopravvalutata: dobbiamo recuperare la comunione, evitare di perderci, di adulterare il vino che renderebbe la nostra conversazione priva di senso.
A me personalmente piace più conversare che comunicare, perché nella conversazione si sta insieme agli altri, ci si può guardare negli occhi, ci si può toccare, quindi c’è più contatto umano. Nella comunicazione, invece, c’è più freddezza, in quanto, soprattutto in questo periodo di pandemia, comunichiamo con computer, smartphone, tablet ecc. Questi ultimi sono molto utili, però hanno eliminato i contatti tra le persone, hanno limitato la libertà.