Fin dai primi giorni di pandemia sono stati proposti alcuni precisi simboli religiosi: riti, sacerdoti, templi, sacrifici, calendari, celebrazioni. Eppure molti non hanno compreso la portata antropologica e teologica di questo cambiamento. Siamo di fronte ad una svolta epocale: nulla sarà più come prima. I pochi che in questi mesi hanno acquisito consapevolezza si troveranno in un mondo radicalmente diverso: i vecchi valori sono stati svuotati, davvero l’annuncio della morte di Dio è arrivato ai quattro angoli del pianeta. Il resto che inspiegabilmente resisterà al cambiamento in quale ordine del mondo si dovrà collocare?
La connessione tra politica e teologia può sembrare forzata o antiquata. In realtà negli ultimi secoli si è spesso dibattuto sull’influsso delle credenze religiose sulla politica, spesso allo scopo di impiegare la religione come instrumentum regni. Soltanto il ricorso alla religione può garantire l’obbedienza alle leggi: la stessa divinizzazione dei politici, come il culto del capo presente nei totalitarismi, rientra in modo grossolano nella sacralizzazione del potere.
Esiste anche un’altra prospettiva che vede la teologia politica come lo studio sistematico del rapporto tra la religione come fatto personale e collettivo e la scoperta dei nessi strutturali tra le idee teologiche e quelle giuridico-politiche. Secondo questa prospettiva esiste una connessione evolutiva della politica a partire dalle trasformazioni del concetto di Dio. La politica medievale risente della visione cristiana di Dio, quella moderna del dio lontano del deismo e del dio orologiaio, quella contemporanea risente della secolarizzazione e profetizza l’avvento di un apparente mondo dei diritti assoluti.
Per Carl Schmitt la modernità non è il trionfo della laicità o dei valori universali della rivoluzione francese. Anche dopo l’avvento del nichilismo siamo in presenza di una politica teologizzata.
Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati. Non solo in base al loro sviluppo storico, poiché essi sono passati alla dottrina dello Stato dalla teologia, come ad esempio il Dio Onnipotente che è divenuto l’onnipotente legislatore, ma anche nella loro struttura sistematica, la cui conoscenza è necessaria per una considerazione sociologica di questi concetti.
C. Schmitt, Teologia politica
La religione ha per oggetto Dio, la verità e la salvezza ultima, la politica si volge al bene comune, alla giustizia ed alla libertà. Entrambe convivono nella civiltà: la base prima di ogni civiltà è di ordine spirituale, oltre l’economia e la tecnica, occorre riconsiderare l’educazione, l’etica, il bene e il male, l’arte e la vita.
Nell’epoca della secolarizzazione la teologia politica è stata esposta all’ondata nichilista che ha prodotto un doppio esodo:
dall’orizzonte della realtà e dalla fede biblica. L’ospite inquietante ha portato alla padrona di casa un duplice dono: il rifiuto del principio di realtà e la sua sostituzione con la volontà di potenza. Questo ha implicato che la legge che regola i rapporti tra i cittadini ha trasvalutato la sua ragionevolezza e la sua autorevolezza. Se manca un fondamento normativo su quale base il cittadino deve fondare la sua obbedienza? Si apre ad una generalizzata volontà di potenza in cui tutti si illudono di poter fare ciò che si vuole. Il relativismo giuridico non è che una conseguenza del nichilismo, dei valori e dell’elogio del relativismo e dello scetticismo.
Il Dio biblico è stato relegato in biblioteca. E’ paradossale che i capi religiosi non soltanto non abbiano compreso la portata teologica di questa pandemia ma spesso siano stati facilitatori di un processo che sta svuotando la fede dei credenti. La Bibbia sembra essere stata abbandonata sugli scaffali delle sacrestie: non si affrontano i problemi sorti in questi mesi se non da una prospettiva mondana. Tra un prete e un giornalista che ci invita ad essere solidali ed inclusivi esiste un’imbarazzante convergenza linguistica e morale.
Perché il nichilismo è così letale? Il nichilismo dice di no alla metafisica, alla religione, all’etica, alla persona, al diritto e si affida alla volontà di potenza, rinunciando a possedere un punto di vista privilegiato per affrontare la realtà. Oggi nella pandemia sembra affermarsi una teologia politica dell’assenza e della negazione che emargina Dio fuori della storia: non esiste più trascendenza, salvezza, escatologia. Rimane solamente ciò che si vede e si materializza: l’uomo è solamente un essere naturale facilmente manipolabile dalla tecnica che crede in ciò che appare più rassicurante. La morte è l’unica fermata ammessa ed avendo smarrito qualsiasi forma di speranza non rimane che affidarci a Cesare e accontentarci dei piccoli privilegi che vengono concessi: qualche ora d’aria, minori restrizioni, qualche piccolo sussidio.
In fondo si è passati da novecentesca separazione tra il potere politico e il potere religioso (Cesare e Dio) ad una pandemica assimilazione: il fedele va in Chiesa portando i riti igienizzanti, il seminarista studia teologia green, il politico richiama alla santità dell’umanitarismo, il medico celebra nelle nuove cattedrali. Non c’è più distinzione. Tuttavia agli occhi più aperti non sarà sfuggita l’essenziale unicità del Cristianesimo, Gesù nella sua Incarnazione ha mostrato che in fondo Dio ha deciso qualcosa di completamente diverso: non è il cristianesimo ad aver bisogno delle civiltà, ma il contrario. La civiltà non scomparirà se ancora qualcuno vorrà essere sale, luce e lievito.
Da sempre, soprattutto nel passato, c’è stata la divisione tra la politica e la religione: la prima con le leggi obbliga gli individui a rispettarle anche se non si è d’accordo; la seconda ha le leggi di Dio che non sono così rigide, ma ci aiutano a vivere meglio. Io dò più importanza al cristianesimo, in quanto può dare un senso alla nostra esistenza, mentre il nichilismo, che non ammette Dio, secondo me, provoca nell’uomo un vuoto incolmabile.