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Un mondo senza qualità

Nell’antichità Aristotele individua nella qualità una categoria, un modo di predicare l’essere. Ha quindi sia un valore ontologico, cioè la realtà propria dell’oggetto (un cavallo bianco), sia un valore logico, cioè come l’oggetto può essere pensato e spiegato. Tutto ciò serve a comprendere e spiegare il mondo in modo semplice e intuitivo. La qualità per Aristotele non è la categoria più importante, alla base di tutto troviamo infatti la sostanza.

L’uomo moderno ha inventato certificazioni di qualità per distinguere e premiare ciò che merita da ciò che non merita. Per esempio il concetto di qualità della vita è oggi largamente diffuso ed usato in demografia, come spiega il progetto City Statistics, con cui l’OCSE progetta gli spazi urbani del futuro. Il concetto di qualità della vita serve a misurare il benessere della popolazione nelle sue svariate dimensioni. Il benessere, infatti, dipende sia da alcune condizioni di vita materiali che dalla percezione individuale della qualità di vita. Tra le condizioni materiali rientrano reddito e lavoro e la situazione abitativa. Le dimensioni non materiali della qualità di vita, invece, comprendono la salute, la formazione, la qualità dell’ambiente, la sicurezza personale, l’impegno civico e la conciliabilità tra lavoro e vita privata. È molto difficile trovare un descrittore oggettivo e quantitativo della qualità, eppure alcune organizzazioni internazionali praticano senza fatica questo difficile compito… Vedere le città o gli stati salire o scendere le fantomatiche classifiche sulla qualità della vita, genera sempre una certa preoccupazione e una sottile tentazione all’emigrazione. La Finlandia, vincitrice in più edizioni delle classifiche annuali dei paesi in cui è meglio vivere, è sicuramente un paese avanzato in molti campi ma se dovessimo utilizzare indicatori diversi da quelli usati (per esempio depressione, suicidi e alcolismo) il risultato sarebbe completamente diverso. Il quadro della qualità della vita all’interno del mondo occidentale si presenta dunque disegnato con matite predefinite, temperate su un concetto di benessere essenzialmente materialista, utilizzando “oggettivamente” indicatori economici, sanitari, educativi, culturali, artistici e perfino ludici.

L’identificazione della qualità della vita con il benessere si basa su una visione eudemonistica ed edonistica della vita. Cosa succede agli individui molesti che non si adeguano a questi standard, a coloro che abbassano il livello qualitativo della vita, a coloro che non rientrano nella logica dei domini descritti? Nel mondo postmoderno assistiamo ad una crescente regolamentazione del fine vita e della liberalizzazione dell’eutanasia. L’uomo tecnologico ha una certa fretta di migliorare il suo stato, economico, sociale, affettivo. Possiede anche la certezza positivistica che il progresso non tarderà ad arrivare, non tarderà a migliorare le qualità umane o a potenziare ciò che è ancora inespresso. La malattia, la vecchiaia, la morte appaiono i tre ostacoli che frenano il raggiungimento della perfetta felicità. Se alcuni professano apertamente una credenza nel valore salvifico della scienza, altri si muovono colpevolmente nel campo dell’ambiguità. Che implicazioni possono esserci tra la qualità della vita e l’eutanasia?  Oggi si sostiene che la vita è tale se degna di essere vissuta.

La sofferenza, il fallimento, la povertà non sono tollerate dall’uomo cresciuto con il mito della qualità. In molti stati, la presenza  dei bambini con la sindrome di down è diminuita a tal punto da diventare un genocidio silenzioso, proprio di chi è ucciso senza poter parlare. Perché dare la vita a chi non può permettersi un’esistenza dignitosa e che abbassa il livello della (presunta) qualità della vita? L’assenza di malati, degli scartati, paradossalmente aumenta invece il numero di patologie, infetta la società di falso ottimismo. Tutto ciò che troviamo nei supermercati, sui siti internet, dovrebbe migliorare il nostro benessere: eppure le persone vivono in uno stato di profonda insoddisfazione, senza avere nemmeno la forza di protestare. Il surplus di qualità rende l’individuo mediocre. L‘additivo di qualità a cui l’uomo occidentale è sottoposto non rende migliori, rende uguali. Più sani, più belli, più giovani, più realizzati, più social… meno umani. Se la qualità si sgancia dall’essere, allora non siamo meno, non siamo proprio. In una società senza qualità ontologica si guarderà alle persone come oggetti da creare, manipolare, distruggere.

In quel fantastico libro per bambini che è Pinocchio, si narra la vicenda di un pezzo di legno che in realtà è qualcosa in più di un pezzo di legno. La figura di Maestro Ciliegia è emblematica. All’inizio si ritrova tra le mani un pezzo di legno che apparentemente era uguale agli altri, a quelli che d’inverno si buttano nel fuoco per accendere il camino e riscaldare le stanze. All’occorrenza quel pezzo di legno potrebbe diventare una gamba di un tavolino. Maestro Ciliegia rappresenta l’uomo materialista e positivista. Ha poche certezze su cui fare affidamento: ciò che si vede e si tocca è vero, il resto è superstizione e se avviene qualcosa di diverso da quello che è sempre capitato allora non è avvenuto. I suoi solidi principi finiscono per terra insieme al suo naso quando quel pezzo di legno si rivela essere qualcosa in più di un semplice pezzo di legno, quando quel pezzo di legno gli fa sentire la sua piccola vocina canzonatoria. Mastro Ciliegia può guardare quel pezzo di legno solamente nella sua apparente materialità, non può immaginare che quel pezzo di legno diventerà un bambino che va a scuola! Il materialista che cerca di far funzionare la sua vita e la vita degli altri, guarda il mondo soltanto dal punto di vista evolutivo e non creativo. Se agli albori dell’umanità avessimo dovuto scommettere sugli uomini preistorici, mai ci saremmo potuti immaginare la nascita della civiltà! Come ben afferma il cardinal Biffi nel suo bizzarro libro Contro Maestro Ciliegia,

i materialisti non mancano di logica, mancano di immaginazione; più che dal ragionamento, sono sconfitti dalla fantasia: la storia effettiva del mondo è più grande di loro

Maestro Ciliegia è il prodotto della modernità, l’uomo del buon senso, l’uomo che pur volendo non può credere. Ciliegia non può credere che un pezzo di legno possa parlare, l’uomo “modernista” non può andare al di là della sua ferrea logica materialista. Se avviene l’imprevisto, se qualcosa trascende il suo sguardo, allora bisogna sanare l’anomalia che ha turbato l’equilibrio del suo mondo preordinato e rassicurante. Così come Maestro Ciliegia, l’uomo materialista si mette a cercare qualcosa (o qualcuno) che possa escludere la presenza di quella vocina misteriosa:

Guardò sotto il banco, e nessuno; guardò dentro un armadio, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; aprì l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche su la strada, e nessuno. O dunque?

Il limite del materialista Ciliegia è l’incapacità di scoprire la qualità che si cela dietro la materia: l’immaginazione vede la qualità ed è il preludio della creazione. Quel pezzo di legno parlante viene poi preso da Geppetto, che vuole creare un burattino meraviglioso che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Geppetto vuole dare vita a ciò che all’apparenza non ha vita. Collodi presenta Geppetto come un collega di Maestro Ciliegia, come lui ha un sacco di difetti: Geppetto è un vecchietto arzillo, con la parrucca e permaloso. Eppure questo vecchietto imperfetto è il padre di Pinocchio, colui che è alla base dell’essere nel mondo del figlio.

Se fosse Dio Padre, forse non dovrebbe presentarsi in questo modo malfatto. Eppure anche nella Scrittura Dio si presenta nelle vicende con il popolo di Israele in modo paradossale, mostrando nel racconto della Genesi, dell’Esodo e nelle vicende dei profeti, delle qualità non propriamente canonicamente divine. In un certo senso per avvicinarsi all’uomo, Dio ha scelto un vecchio sterile come Abramo a cui si presenta a volte amorevole e a volte spietato, Dio ha scelto un popolo a cui si presenta come un Dio liberatore e come un Dio geloso e vendicativo, Dio si è rapportato ai profeti come un mandante di terribili profezie. Ancora oggi Dio cammina nel mondo, accanto a tanti Maestri Ciliegia, e a volte sembra molto distante dai problemi dei suoi figli. Questa qualità di Dio mette in crisi le pretese onnicomprensive della ragione che se non lascia spazio all’amore integrale, finisce per portare l’uomo ad un teismo pratico o alla pratica dell’ateismo.

Nella Lettera ai Filippesi di San Paolo apostolo si esprime in modo esemplare il mistero della kénosis (svuotamento, abbassamento). Quest’inno cristologico fa riferimento all’evento dell’incarnazione: Gesù Cristo, nel prendere la forma umana e nel morire sulla croce, spogliò se stesso, si umiliò e assunse la condizione di servo. Lo svuotamento che Cristo opera per scendere al nostro livello è la manifestazione di un amore puro e libero. Dio non ha pensato a mantenere la sua regalità, ad utilizzare la sua qualità come distanza incolmabile tra l’imperfezione e la perfezione. Dio ha nascosto la sua dignità assumendo la forma di uomo e morendo condannato ad una morte infame, ha voluto mettersi in relazione con l’uomo, povero tra i poveri. L’essere pieno senza qualità apparenti.

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