Uno stato islamico è uno stato ideologico ed è profondamente diverso da tutti gli altri stati: al suo interno gli individui sono discriminati in base alla loro appartenenza religiosa. Al suo interno vivono persone che credono alla sua ideologia e persone che non credono alla sua ideologia. Chi non è musulmano (dhimmi) non dovrebbe prendere parte alla vita politica e amministrativa del paese. Chi non è musulmano può vivere pacificamente all’interno dei suoi confini pagando una tassa (Jizya). Jizya significa letteralmente pena (punizione, multa) ed è il lasciapassare per vivere insieme con i musulmani. Anche i nativi non musulmani devono pagare il tributo fin quando non decideranno di convertirsi all’Islam. Chiaramente come si può sentire uno di loro a casa nella sua terra, tra la sua gente, e con il suo governo, quando sa che il Jizya che paga è un simbolo di umiliazione e sottomissione? A cosa serve questa tassa?
“… per risparmiare il sangue (del dhimmi), per essere un simbolo di umiliazione degli infedeli e come insulto e punizione per loro, e come indicano gli Shafiiti, il Jizya viene offerto in cambio della residenza in un paese islamico.” Così Ibn Qayyim aggiunge: “Dal momento che l’intera religione appartiene a Dio, esso mira a umiliare l’empietà e i suoi seguaci, e li insulta. Imporre il Jizya sui seguaci dell’empietà e opprimerli è richiesto dalla religione di Dio. Il testo coranico suggerisce questo significato quando dice: ‘finchè non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati’ (Corano 9:29). Quello che contraddice ciò è il lasciare che gli infedeli si godano la loro forza e pratichino la propria religione come lo desiderano in modo che essi avrebbero potere e l’autorità”. Mawdudi, S. Abul `Ala’, The Rights of Non-Muslims in Islamic State
In poche parole agli infedeli non è permesso professare liberamente la fede, non devono avere potere e autorità civili e religiose perché altrimenti potrebbero indurre qualche musulmano all’apostasia, a lasciare l’Islam e ad abbracciare una nuova religione. Lo stato islamico risparmia la vita agli infedeli, a patto di una loro sottomissione economica e civile. Addirittura nel XIV secolo si arrivò ad obbligare i cristiani e gli ebrei ad indossare dei turbanti colorati per distinguerli dal resto della popolazione. I dhimmi sono diversi perché hanno credenze diverse. Non è una questione politica in senso stretto o militare. Semplicemente non ci può essere un’uguaglianza sostanziale tra soggetti ideologicamente diversi. Alla popolazione islamica il pagamento della Jizya deve essere sembrata una misura giusta e necessaria, a garanzia di quella protezione che la maggior parte delle persone riteneva indispensabile alla sopravvivenza della società islamica. Chi non voleva abbandonare la propria religione e convertirsi all’Islam doveva necessariamente pagare, versare un tributo di protezione.
Sembrano tempi lontani ma anche oggi corriamo il rischio di vivere in una società intollerante e discriminatoria in cui nuove pseudoreligioni condizionano la vita di intere comunità. Il credere acriticamente ai vangeli televisivi, a potentissimi social guru, a imbonitori istituzionali, ai falsi profeti di sicurezza non è un sintomo evidente della malattia che ha pervaso l’occidente? La presunzione di poter dividere la società in base a passaporti e super passaporti non è propria di chi è rappresentante di una pseudoreligione che sta infliggendo nuove tasse e umiliazioni ai non credenti? Seppur fossimo bersaglio del proselitismo dei giannizzeri di una forza oscura non priviamoci dell’onore di resistere e di perseverare per amore di chi ci ha preceduto e di chi ci seguirà.