Kalokagathia. Questo termine indicava anticamente la fusione tra bello e buono. Non si può concepire il bello se non in relazione al bene. In fondo non cerchiamo una bellezza che abbia un significato più profondo?
“La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, proprio lui, il personaggio più buono ideato dal grande scrittore russo. Siamo di fronte ad un mistero: un’idiota profetizza che il mondo sarà salvato dalla bellezza. Questo principe potrebbe essere Cristo, il più bello dei figli di Adamo, sfigurato sulla croce. Per questo si può capire come molti santi si sono avvicinati al terribile mistero della croce con la trepidazione di chi scorge qualcosa di straordinario.
Stendhal scriveva: la bellezza è una promessa di felicità. Forse la felicità rende la nostra vita, apparentemente monotona e ripetitiva, più bella, più degna di essere vissuta. Parimenti, la mancanza di bellezza genera un mondo brutto, malato e invivibile. Se la bellezza manca di virtù, allora il nostro mondo diventa un posto dove ci lasciamo andare a comportamenti contraddittori, dissacranti, disumani. In fondo anche la Bestia viene salvata da Bella grazie alla sua capacità di aggraziare, di umanizzare: il processo redentivo del principe maledetto deve passare nel recupero delle buone maniere che lo rendono capace di relazionarsi con la fanciulla, di amarla. Perché il bello risiede anche nell’uomo, in quello che Kant chiama giudizio estetico.
Come possiamo essere d’accordo nel concepire il bello se non presupponiamo di possedere un senso comune di bellezza che preceda l’oggetto stesso che osserviamo? La bellezza è bellezza perché la possiamo intuire grazie ai nostri sensi e possiamo comunicarla grazie al nostro intelletto. Pino Daniele cantava il celebre motto napoletano Ogni scarrafone è bello a mamma soja andando a relativizzare la bellezza, perché ogni madre trova il suo piccolo bellissimo; perfino la madre dello scarafaggio perdona le imperfezioni del figlio. Questa è la forza dell’amore che rende bello ciò che non dovrebbe esserlo, perché lo riveste di sacralità.
Anche San Francesco sperimenterà, per grazia, che il contatto con il lebbroso “che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza”. Questa bellezza morale e spirituale guarisce. Perché oggi viviamo in spazi brutti, vediamo una degenerazione estetica in molti campi? C’è un decadimento perché ormai viviamo immersi nella materializzazione. Assistiamo ad un’eccessiva semplificazione. Il linguaggio stesso è ormai ai minimi termini. Ormai assistiamo ad un’involuzione linguistica che non permette più agli studenti di comprendere non solo le poesie ma i testi antologici che un tempo erano destinati ai bambini della primaria. La semplificazione linguistica, l’abbreviazione dei molteplici vocaboli in poche idee elementari, cancella sempre più sfumature concettuali esteticamente arrichite, impoverendo i processi cognitivi: danneggiare le proprie capacità intellettuali, sia quella attiva di argomentazione quanto quella passiva di ascolto e comprensione, è molto pericoloso: rende facili prede di qualsiasi forma di indottrinamento.
La bellezza ha salvato l’uomo dalla violenza cieca e barbara dei sistemi totalitari che oggi sono poco riconoscibili ma molto efficaci. Il lavoro di identificazione di ciò che è bello è sempre uno studio, richiede fatica, impegno, sofferenza. Oggi la massificazione della nostra cultura porta a scorciatoie, ad abbreviazioni. Si diventa famosi senza saper fare nulla. In ciò non c’è bellezza. Allora non è vero che (quasi) kantianamente “non è bello ciò che è bello ma ciò che piace?”. La bellezza è legata alla conoscenza, per questo è oggettiva. Il gusto invece è soggettivo, dipende dall’individuo. L’artista può quindi rappresentare il brutto ma sarà sempre bello, perché utilizzerà le sue capacità per creare artisticamente qualcosa. Io che non sono un’artista posso anche sforzarmi di creare qualcosa di bello: il prodotto probabilmente potrà anche incontrare il gusto di qualcuno ma non sarà un’opera d’arte.
Anche Socrate nel Cratilo afferma che qualcosa contiene la bellezza se è compresa dall’intelligenza e perciò diventa apportatrice di felicità: “E dunque a ragione il kalon è una sorta di soprannome del pensiero che compie cose di questo genere che noi abbiamo care quando diciamo che sono belle”. Avere a cuore la bellezza è questione di ragione, non solo di gusto estetico. In fondo anche la vicenda della regina Grimilde, la matrigna di Biancaneve, è esemplare. Una donna vanitosa, costretta quotidianamente a chiedere allo specchio magico conferma della sua bellezza. Una donna invidiosa che non sopporta che una giovane fanciulla sia la più bella del reame. Una donna assassina, pronta ad ordinare l’omicidio della sua figliastra. Una donna strega che si abbrutisce definitivamente e che muore nelle fattezze mostruose, dopo aver ucciso con una mela avvelenata l’innocente principessa.
Quale bellezza allora salverà il mondo?