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Ecce homo

Il paradosso indica etimologicamente un fatto o un pensiero che contraddice l’esperienza comune. Da un lato siamo incuriositi e giochiamo con i paradossi, dall’altro mal sopportiamo il disordine che ne scaturisce. Soprattutto quando il senso comune è molto più comune che senso, cioè si basa su quello che Heidegger definisce chiacchiera, l’anonimo e rassicurante si dice. L’educazione che abbiamo ricevuto e le conoscenze che abbiamo sviluppato nel corso degli anni, determinano il nostro modo di comprendere il mondo in cui ci troviamo, il nostro modo di vedere il mondo, la nostra Weltanschauung. Ad alcuni il mondo appare come un paradiso, ad altri come un inferno, a molti come il luogo della realizzazione personale, ad altri ancora come un libro da leggere o da scrivere, a qualcuno un regno da conquistare o un giardino da custodire. Tutti dobbiamo fare i conti con la contraddizione e la contraddittorietà che emerge dal vivere nel mondo.

Gli anni della nostra vita sono settanta,
ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore;
passano presto e noi ci dileguiamo. Salmo 90

Per quanto ci impegniamo a rimandare l’appuntamento più importante innanzi a noi, l’unico irrinunciabile e definitivo, quello che davvero ti cambia la vita, per quanto ci agitiamo. resistiamo, sbuffiamo e combattiamo, alla fine la morte arriva preceduta dai suoi annunciatori: fatica e dolore. Se la fatica ha spesso una natura sociale (si lavora insieme) il dolore si scava il suo spazio interiore: vogliamo rimanere soli con il nostro dolore. Nel provare tristezza, angoscia, disperazione, sofferenza, ci nascondiamo, portiamo il nostro volto lontano dagli occhi curiosi e indiscreti. Il senso comune ci porta a vivere il dolore con pudore. Per questo la stessa visione del dolore suscita in noi un sentimento ambivalente: proviamo repulsione e attrazione. A tratti il dolore diventa pure esibizione, in qualcuno degenera in pornografia (nella sua accezione etimologica di prostituzione rappresentata).

Emile Cioran ha riflettuto lungamente sulla condizione umana e in un celebre passo si è soffermato sull’esperienza del dolore, sulla necessità della solitudine dolorosa.

Poter soffrire soli è un gran vantaggio. Che cosa succederebbe se il volto umano esprimesse fedelmente tutta la sofferenza di dentro, se l’espressione traducesse tutto il tormento interiore? Riusciremmo ancora a conversare? Non dovremmo parlare nascondendoci il volto con le mani? La vita diventerebbe decisamente impossibile se i nostri tratti palesassero l’intensità dei nostri sentimenti. Nessuno avrebbe più il coraggio di guardarsi allo specchio, perché un’immagine insieme grottesca e tragica mescolerebbe ai contorni della fisionomia macchie di sangue, piaghe sempre aperte e rivoli di lacrime irrefrenabili. Proverei una voluttà piena di terrore nel veder esplodere, nell’armonia comoda e superficiale di ogni giorno, un vulcano di sangue che vomitasse fiamme brucianti come la disperazione, nel guardare tutte le ferite del nostro essere aprirsi irrimediabilmente per far di noi una sola sanguinante eruzione. Allora soltanto ci renderemmo conto dei vantaggi della solitudine, che rende la sofferenza così muta e inaccessibile. E. Cioran, Al culmine della disperazione

Se il dolore fosse visibile allora potremmo osservare macchie di sangue, piaghe sempre aperte e rivoli di lacrime irrefrenabili. Di fronte ad un volto segnato, sfigurato, tormentato non avremmo scampo, saremmo costretti a coprire i nostri occhi, a coprire il nostro volto. Quando Pilato espone Gesù al popolo dopo il supplizio, dopo che il suo stesso volto è stato dilaniato dalla brutalità disumana degli aguzzini, pronuncia una frase emblematica: Ecce homo. In queste parole si racchiude il paradosso metafisico della nostra condizione e della presenza di Dio nel mondo. Ecco l’uomo: una creatura sanguinante, dolorante, colpita, afflitta, emarginata, giustiziata, sacrificata. Ecco l’uomo: una creatura crudele, violenta, cattiva, malvagia, incorreggibile. Ecco l’uomo: un creatore onnipotente, incarnato, salvatore, redentore. Il senso comune direbbe che tale visione sarebbe uno spettacolo orribile, giustificato solamente dall’inflessibilità della legge, dalla condanna esemplare dell’uomo empio. Ecce homo. In quell’uomo sono presenti tutti gli uomini chiamati a completare le sofferenze di Cristo, tutti gli uomini che sono paradossi irragionevoli e incomprensibili per il senso comune. Ma occorre cambiare lo sguardo sulla realtà, occorre acquisire uno sguardo metafisico e forse, come suggerisce Chesterton, guardando la croce, possiamo scoprire ciò che è rivelato al mondo che il corpo di un servo morto sulla forca e il Padre dei cieli sono la stessa cosa.

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