Se qualcuno non vede non possiamo condannarlo: non sappiamo se non vede per mancanza di luce, di occhi o se vede e afferma di non vedere. In determinate situazioni la vista è un senso fondamentale per orientarci nel mondo. Dopo la pandemia e la guerra arriverà la carestia. Il nostro stile di vita cambierà radicalmente perché vedremo ridotta la nostra spesa, il nostro carrello, ridimensionate le nostre abitudini. Molti non capiranno, altri non lo accetteranno. Non sarà soltanto inevitabile, sarà anche giusto. L’occidente ha vissuto per decenni un consumismo inarrestabile. Abbiamo accumulato e distrutto oggetti, abbiamo rinnegato tradizioni e conoscenze secolari, siamo diventati neo primitivi tecnologizzati, incapaci di comprendere che lo stile di vita consumistico ha impoverito, sfruttato e angariato milioni di persone. La globalizzazione sta presentando il suo conto.
Tornerà il caos? Originariamente questo termine non significava disordine. Nella Grecia antica chaos era l’abisso, la voragine che si spalancava, la fenditura vuota. Il caos è il vuoto. Nella Genesi si legge che
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio non crea dal nulla, Dio crea dal caos, dall’informe, dal deserto e dall’abisso. Come nella Teogonia di Esiodo in cui Chaos è un turbinio primordiale che si contrappone a Gea, la Terra, e genera due figlie Tenebra e Notte. L’abisso chiama l’abisso. Questa sensazione di precipitare in un mondo illogico, precario, violento, inospitale, non rende la nostra esistenza proiettata ad un futuro incerto e misterioso? In questa situazione apparentemente disperata, l’occhio pigro non abituato a guardare oltre la misura del suo naso, non può osservare l’alba nuova che sorge all’orizzonte, la possibilità di eliminare concezioni antropologiche anacronistiche. Il mondo nuovo sta prendendo forma. L’uomo nuovo non nascerà dalla compiutezza, dal benessere, dalla volontà di potenza. L’uomo nuovo ha bisogno di passare dai bisogni e dai desideri di chi non è a credito ma a debito. Il paradosso redentivo di questa oppressione diabolica che sta distruggendo questa parte malata di mondo è che nella malattia, nella miseria, nella tragedia, l’uomo sta recuperando la sua dimensione ciò che Heidegger descrive in Essere e Tempo come la tonalità emotiva della colpa, il debito, cioè della consapevolezza di esistere solo in termini di progetto-gettato che ha sempre il suo essere da definire e da realizzare. Viviamo perché siamo sempre in debito con qualcuno: con la madre che ci ha partorito, con il padre che ci ha protetto, con un amore che ci ha curato, con Dio che ci perdona e ci dona la vita. Forse arriveremo a vivere il debito nella sua dimensione relazionale, nel suo sottrarci al caos, in cui la quantità economica da restituire sarà subordinata alla presa di coscienza del nostro bisogno di amore. Non vedremo più i nostri debiti ma solamente i nostri debitori.