E’ difficile accettare la carestia, la mancanza, la penuria. Il termine carestia, secondo alcuni, deriva dal greco akharistía (αχαριστία), composto da α privativo e χαριστία (grazia), quindi mancanza di grazia, favore, beneficio. La carestia è dunque una situazione di sofferenza causata da scarsezza di beni e risorse. Nella carestia si sta con la consapevolezza di aver vissuto diversamente, desiderando di tornare al benessere di prima, alla sicurezza materiale e psicologica. Il tema della carestia è dunque profondamente legato alla memoria. Se mi accorgo di mancare di cibo, di acqua, di beni materiali o spirituali, mi accorgo della mancanza, in virtù del ricordo dei bei tempi andati, quando i prodotti erano tanti, le risorse accessibili, si stava meglio. La memoria fa riemergere ciò che già sapevamo: in noi è presente questa capacità di giudicare in base alle richieste inoltrate dalla volontà.
Quando ripensiamo a una persona di cui abbiamo dimenticato il nome, cerchiamo le informazioni collegate a quella persona e rifiutiamo ciò che non è collegato a quella persona. Se il ricordo di quella persona fosse del tutto scomparso, noi non riusciremmo più a rintracciarne la memoria: non si può cercare una cosa dimenticata completamente. Allora se una persona ci manca, riaffiora nella nostra memoria ciò che questa persona ha fatto di buono in noi e con noi. Ricordiamo le sue parole, il suo ascolto, la sua presenza e vorremmo nuovamente stare insieme, rivivere la bellezza e la bontà di quei momenti.
Tardi ti ho amato,
bellezza così antica e così nuova,
tardi ti ho amato.
Tu eri dentro di me, e io fuori.
E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
quelle creature che non esisterebbero
se non esistessero in te.
Mi hai chiamato,
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.
Hai mandato un baleno,
e il tuo splendore
ha dissipato la mia cecità.
Hai effuso il tuo profumo;
l’ho aspirato e ora anelo a te.
Ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te.
Mi hai toccato,
e ora ardo dal desiderio della tua pace. Agostino, Confessioni 10
La mancanza, con S. Agostino, pone un problema: e se mancassimo per assenza del soggetto desiderante? Se cioè fosse venuto meno non l’oggetto ma la la capacità del soggetto di stare al mondo, se avesse perduto il senso esistenziale, l’udito, la vista, l’odorato, il gusto, il tatto che ci permette di raggiungere quello che Heidegger chiama la consapevolezza della gettatezza? L’uomo è essere di mancanza in quanto la sua infinita domanda dell’origine e del suo destino può essere risposta solamente nella sua prospettiva finita: in altre parole per Heidegger l’uomo nasce con il peso, la colpa, la mancanza, di un’indefinibile origine e aspetta ansioso e angosciato il momento della sua morte, improvvisa come il famoso ladro evangelico, che arriverà trovandolo senza risposte, impreparato, mancante.
Esiste un altro termine che ha una radice simile alla carestia ma ha un significato completamente diverso, celebrativo e sacramentale. L’eucarestia non è però soltanto un sacramento: etimologicamente è composta dalla particella ευ (buona) εὐχαριστία (grazia). Ci troviamo di fronte ad un interessante gioco linguistico: la carestia e l’eucarestia sono divise da poche lettere ma da stati d’animo evidentemente contrastanti. La carestia ci preoccupa perché siamo materialmente precari, l’eucarestia ci rallegra perché siamo soprannaturalmente contenti (rendiamo grazie).
Siamo sicuri che l’istituzione dell’eucarestia nell’ultima cena sia un momento esclusivamente trionfante, un’esplosione di gioia incondizionata, un godimento angelico disincarnato? E se l’essenza del memoriale (il fate questo in memoria di me) sia in realtà necessariamente collegato alla perdurante condizione di mancanza, di nostalgia, di carestia, che ogni uomo avverte nel suo cuore? Se in fondo fosse l’assenza a portare un cristiano alla Presenza, non si dovrebbe iniziare a guardare alla tribolazione come un elemento imprescindibile della salvezza, non dal punto di vista morale o moralistico ma dal punto di vista più propriamente esistenziale e metafisico? Ai nostri giorni manca una visione del mistero, uno sguardo metafisico che permetta alla nostra conoscenza e al nostro agire di andare oltre e forse amare quella bellezza così nuova e così antica.