Il De coelo è una delle opere di Aristotele forse meno conosciuta al grande pubblico: è un trattato fisico, astronomico e anche teologico. In quest’opera, una volta definita la struttura dell’universo, Aristotele cerca di spiegare il suo funzionamento. Una prima soluzione (principio di pienezza) propone una visione immanentistica-naturalistica dell’universo, che lo identifica in pratica con la dimensione della divinità. Lo stesso cielo è Dio.
fuori del cielo non v’è, né è possibile che venga ad essere, alcun corpo…
non è possibile che alcun corpo semplice si trovi fuori del cielo
L’universo racchiude in se stesso tutte le perfezioni, possiede una natura eterea e non ha bisogno di altro per muoversi. Il cielo è perfetto e sempre in movimento in quanto è
sottratto ad ogni fatica, perché non ha bisogno dell’azione violenta di una necessità esterna che lo costringa, impedendogli di muoversi di un moto diverso, al quale esso sarebbe portato per la propria natura.
Aristotele nel De coelo presenta poi una seconda teoria cosmologica: Dio è il motore immobile che permette il funzionamento di tutti gli altri corpi. Sarebbe impossibile infatti pensare al movimento senza il cambiamento: se qualcosa si muove, cambia il suo stato e dunque diviene qualcos’altro. Ma il ragionamento qualitativo necessita di una prima sostanza che muova tutto pur rimanendo ferma. Come si comprende meglio nella Physica, il moto celeste è garantito da un motore perfetto.
Se necessariamente tutto ciò che è mosso è mosso da qualcosa, è anche indispensabile che esso sia mosso o da qualcosa mossa da altro o no; e se è mosso da un’altra cosa
mossa, è necessario che ci sia un primo motore non mosso da altro.
A differenza di tutti gli altri motori-mobili, Dio-Motore immobile non muove per contatto diretto con la sfera delle stelle fisse. Dio è separato dal mondo. Come nella migliore tradizione filosofica dell’antica Grecia, si stabilisce una divisione tra i mondi: Dio che è atto e intelletto puro non può mescolarsi con gli enti imperfetti. Da dove si genera allora il movimento? Secondo Aristotele Dio produce il movimento in modo teologico, meglio teleologico, e non meccanico, in quanto è fine ultimo di tutto ciò che esiste. In sostanza Dio è “l’oggetto amato che l’amante ricerca incessantemente“. Dio rimane fermo, immobile, e tutti gli altri enti si muovono per la sua forza attrattiva. Nella Metaphysica Aristotele sintetizza così la sua apologia del divino
È questo dunque il principio da cui dipendono il cielo e la natura. Ed esso è una vita simile a quella che, per breve tempo, è per noi la migliore. … Ed è sua proprietà la vita, perché l’atto dell’intelletto è vita, ed egli è appunto quest’atto, e l’atto divino, nella sua essenza, è vita ottima ed eterna. Noi affermiamo, allora, che Dio è un essere vivente, sicché a Dio appartengono vita e durata continua ed eterna: tutto questo appunto è Dio!
Siamo ancora attratti dal cielo? Abbiamo ancora il desiderio di guardare il alto, di contemplare le stelle (de-siderius) o siamo ormai livellati su un orizzonte piatto e ripetitivo? Possibile il cielo sia così importante, che la nostra capacità di amare venga condizionata dall’attrazione che il cielo esercita su di noi? Non dipende tutto da noi o in che misura può dipendere da noi? Cosa e, soprattutto, chi ci attrae veramente?
Il termine cielo etimologicamente deriva dal greco kòilos che significa cavo, incavato. Nella visione antica il cielo aveva una parte concava ed una convessa. La volta celeste appariva come una cupola che separava i mondi. Per questo non è improprio pensare che il cielo sia celato, sia nascosto, occulto, a chi non distingue le parti, a chi ha mescolato le dimensioni, materializzando lo spirito e spiritualizzando la materia. Sarebbe bello trovare qualcuno che discendendo dal cielo e poi risalendo aiutasse gli uomini a recuperare una visione perduta del cielo e, conseguentemente, dell’amore! Infatti è pur vero che Dio è causa prima di tutto ma l’essere umano a differenza degli altri enti può indirizzare la sua volontà, possiede il libero arbitrio, può resistere e addirittura ribellarsi alla forza attrattiva divina. Allora come succede nelle relazioni amorose, rinunciando all’oggetto dell’amore, priviamo la nostra esistenza di quel sapore che la rende bella, buona e vera. A questo punto, osservando il nostro vissuto, forse si potrebbe concludere: non è che amiamo poco perché non guardiamo il cielo?
Articolo molto interessante, denso di contenuti che stimolano la riflessione e indirizzano lo sguardo verso l’alto, per cercare di ricordare e rivivere l’Amore “che move il sole e l’altre stelle” (Divina Commedia. Paradiso XXXIII, v. 145).