Segui profcirillo

Entropia

Una pagina memorabile de Il Signore degli anelli, presenta un dialogo tra Gandalf e Pipino all’approssimarsi dell’assalto degli orchi alle bianche mura della città di Minas Tirith. La situazione è drammatica, il pensiero della morte è assillante. Il nemico è superiore in forze e in poteri magici. La caduta è imminente. Pipino parla con la nostra voce, è la nostra paura di perdere la vita e tutti i progetti di felicità immaginati. Dice spaventato: non pensavo sarebbe finita così. Allora Gandalf, utilizzando il suo sguardo metafisico, propone un’altra via

Gandalf: Finita? No, il viaggio non finisce qui. La morte è soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi.

Pipino: Cosa, Gandalf? Vedi cosa?

Gandalf: Bianche sponde, e al di là di queste, un verde paesaggio sotto una lesta aurora.

Pipino: Beh, non è così male.

Gandalf: No. No, non lo è.

Di fronte al pericolo non avvertiamo la trasformazione ma la distruzione, la cessazione, la morte. Ciò che la nostra mente non riesce a scartare, ciò che il nostro cuore conserva ostinatamente, ciò che il nostro spirito adora come un simulacro di fertilità, impedisce la trasformazione.

Siamo immersi in un periodo di grandi e profonde trasformazioni eppure continuiamo incessantemente a riproporre schemi ormai saturi, metodologie innovative e inefficaci, liturgie vuote e formali. Il progresso non ci salverà, non ci può salvare perché il progresso, come espressione di un cambiamento salvifico, è già superato. Il sistema che la modernità ha costruito e in cui siamo stati allevati, educati, catechizzati sta collassando. Per osservare questo stravolgimento occorre fermarsi sulle alte mura con Gandalf. Coloro che sono impegnati a governare la città non possono prendere coscienza del cambiamento in atto, possono soltanto contribuire alla sconfitta. La stessa entropia ci dice che stiamo arrivando alla fine del nostro viaggio.

Il termine entropia è composto dalla particella en (dentro) e trope (rivolgimento) ed è solitamente usato in fisica per indicare la degradazione dell’energia in un determinato sistema: in presenza di una trasformazione dell’energia, parte di essa viene irrimediabilmente persa. Si potrebbe allora dire che l’entropia sia la tendenza intrinseca di un sistema di perdere irreversibilmente parte del proprio ordine o delle proprie qualità. Questo è vero anche in campo sociale, istituzionale, politico. Non è forse vero che il complesso istituzionale è oggi talmente centralizzato ed esteso da richiedere, per la sua conservazione, una quantità di energia superiore a quella che il sistema può fornire? La “politica” non è un enorme parassita che consuma le risorse della società e che rallenta e disintegra le azioni virtuose? Alcune importanti civiltà del passato non sono già cadute, implose, per far posto a nuovi sistemi più rispondenti ai bisogni degli individui? Per funzionare l’Occidente ha bisogno di consumare più di quanto produce, per sopravvivere dovrà necessariamente militarizzare la propria fortezza in tutti i campi strategici. Sta a noi imparare ad aspettare, a combattere soltanto dopo aver visto con Gandalf il verde paesaggio dopo una lesta aurora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *