Il microchimerismo è un fenomeno cellulare scoperto da pochi anni ma possiede un antico significato psicologico e archetipico. Durante la gravidanza, le cellule del feto entrano nel sangue della madre e viceversa, generando il microchimerismo. Questo scambio cellulare e genetico avviene a partire dalle prime settimane di vita: le cellule del feto colonizzano il corpo della madre, arrivando nei tessuti del midollo osseo, in tutti gli organi, e sono identificabili anche nel cervello. Addirittura dopo parecchi anni, la madre continua a ricevere aiuto dalle cellule embrionali che vanno a riparare i suoi organi malfunzionanti. La madre porta in pancia per nove mesi il bambino, lo partorisce con dolore, lo alleva e lo educa con fatica, alla fine lo lascia andare per la sua strada. Ma una parte del figlio rimane sempre in lei, come la sua capacità di sentirlo in modo unico, nella sua testa e nelle sue viscere. Dove risiedono le cellule arrivate durante la gravidanza. In altre parole il figlio lascia una parte di sé alla madre. Per sempre. Anche la madre che rifiuta e interrompe volontariamente la gravidanza riceverà comunque il patrimonio cellulare del figlio che in modo del tutto gratuito e disinteressato potrà essere utilizzato per far fronte alle eventuali infezioni, malattie o traumi. Anche a distanza di anni, il figlio continuerà ad aiutare la madre. Con il suo dono.
Questo flusso vitale ha un’importanza essenziale per comprendere le interazioni presenti nel mondo degli esseri umani. Abbiamo una mentalità fondamentalmente individualista, orientata al benessere e alla sopravvivenza e fatichiamo a riconoscere la presenza dell’altro. Spesso cresciamo nel mito dell’autopoiesi, non riconoscendo la nostra falsa pretesa di costruirci senza madri, padri o figli. Senza passato e senza futuro. Le stesse ragionevoli leggi che creiamo non sono frutto dell’onesta ricerca di una buona vita, di un buon demone (eudaimonia). Siamo spinti continuamente ad assicurarci la vita, a creare la massima condizione di comodità. Egoisti. Non rinunciamo al nostro vero o finto benessere. Non abbiamo apertura alla novità, all’altro, non siamo aperti alla vita. Ci consumiamo dietro a vuote promesse di felicità. Nell’ignoranza totale della bellezza, della verità, dell’amore. Fermi nelle orme che altri hanno lasciato prima di noi. E che oggi fatichiamo a calzare. Ci sono alcuni limiti che non vanno mai oltrepassati e non osiamo neanche alzare i nostri occhi verso l’orizzonte inesplorato.
Anche il pensiero attua il microchimerismo. La morte di Socrate rappresenta una sorta di limite delle acque sicure per la filosofia, il segnale oltre il quale si entra nel mare aperto . Il processo e la condanna a morte di Socrate non sono soltanto la fine dell’esperienza terrena di un filosofo: con la morte di Socrate nasce la filosofia occidentale. Atene finisce sul banco degli imputati, la città che non ha saputo accettarlo. Condannato a morte dai giudici del tribunale, Socrate è stato assolto e premiato da quello della storia: la civiltà occidentale ha portato per secoli un patrimonio cellulare arricchito dall’esperienza della filosofia greca. Cosa è successo ad Atene? Socrate, da buon ostetrico, ha permesso alla sua città di partorire una sophia che ha reso la nostra civiltà feconda. La sua condanna ha prodotto una svolta essenziale, un dopo ancora in divenire. Ciò che viene dopo Socrate è chimericamente arricchito dalla vita e dalla riflessione dei pensatori che hanno creato il patrimonio cellulare della nostra conoscenza. Non di rado il pensiero degli antichi è ancora presente nella civiltà digitale, segno che hanno ancora qualcosa da dire, hanno ancora organi vitali da riparare. Questo mondo stanco e appesantito non è destinato all’estinzione. Per quanto qualcuno si impegni costantemente ad avvelenarlo, sembra che ci sia ancora del buono da conservare. E da amare.