Per prima fiorì l’età dell’oro, che senza giustizieri
o leggi, spontaneamente onorava lealtà e rettitudine.
Non v’era timore di pene, né incise nel bronzo
si leggevano minacce, o in ginocchio la gente temeva
i verdetti di un giudice, sicura e libera com’era. Ovidio, Le Metamorfosi
La ricerca del benessere, della sicurezza, della pace, hanno indotto l’uomo a trascurare il presente e a guardare al futuro o al passato. Per secoli le grandi narrazioni hanno risposto alla ricerca di senso di una società fortemente centralizzata: il diritto romano, il Cristianesimo, il sovrano, riuscivano a indirizzare i bisogni materiali e immateriali della società. Con l’avvento della modernità e la conseguente fine delle grandi narrazioni, l’individuo ha iniziato a cercare risposte personali. A livello pratico la vita è diventata sempre più complessa e il sentimento di estraneazione che pervade oggi il mondo occidentale è facilmente riscontrabile. Come assordati da una bomba acustica, vaghiamo disorientati in ricerca di un mondo più rispondente alle nostre esigenze e convinzioni. Dove trovarlo? Nel futuro o nel passato?
Thomas More è stato un importante filosofo inglese, amico di Enrico VIII e autentico cristiano. La sua fede gli costò la vita: il re amico non poté esimersi di giustiziarlo per la sua avversione allo scisma. Di More si ricorda soprattutto la sua opera Utopia, l’isola immaginaria in cui realizzare il suo ideale politico. Il termine utopia significa letteralmente nessun luogo. Da qui l’attuale significato di progetto socio politico che non ha nessun riscontro reale in quanto solamente ideale. Ancora più interessante è l’utilizzo della parola utopistico, un termine progressista che porta a vedere il mondo come imperfetto e migliorabile. In un certo senso la modernità ha inaugurato il tempo degli utopistici, il tempo di chi è proteso alla creazione di un mondo migliore, spesso utilizzando la forza della tecnica, ingegnerizzando la natura e le stesse scienze umane. Per esempio il positivismo di Comte prevede la realizzazione di una nuova società con a capo gli scienziati come sacerdoti della nuova umanità. Il cinema e la letteratura hanno contribuito notevolmente a descrivere il mondo di domani, spesso con toni minacciosi e disumani: cupe previsioni dell’estinzione dell’umanità e la distruzione del pianeta. Gli attuali utopistici giocano facilmente a infiacchire il già stanco uomo occidentale, manipolando le sue paure e i suoi bisogni. Ma l’escatologia non è un gioco per monelli.
Accanto alla visione utopostica e futuristica come ricerca in avanti di un senso mancante, negli ultimi anni si inizia a ragionare anche sulla retrotopia. Zygmunt Bauman inventò questo termine per indicare una
visione situata nel passato perduto/rubato/abbandonato ma non ancora morto e non legata al futuro non ancora nato, quindi inesistente. Zygmunt Bauman, Retrotopia
Una visione nostalgica e ricca di rimpianti per ciò che non è più e che non potrà più essere, un rifugio dai molteplici problemi irrisolvibili del presente, unito il terrore per un futuro insondabile e senza sicurezze. Se negli utopistici c’è fede nel progresso, nei retrotopistici c’è nostalgia per il passato, una nostalgia per un mondo falsamente autentico dove si stava meglio anche se si stava peggio. Alla base di questa fuga nel passato, in una falsa storia edulcorata per consentire una sopravvivenza narcotizzata, c’è il diffuso terrorismo che oggi pervade la nostra società: l’enorme quantità di violenza che si manifesta oggi nella disuguaglianza sociale ed economica, nella xenofobia, nell’individualismo più sfrenato, nella solitudine e nella fragilità della società digitalizzata. Terrorismo notevolmente e deliberatamente amplificato per aumentare il senso di paura e incertezza. Il futuro è privo di speranza mentre il passato appare un rifugio sicuro.
La via del futuro somiglia stranamente a un percorso di corruzione e degenerazione. Il cammino a ritroso, verso il passato, si trasforma perciò in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha prodotto ogni qual volta si è fatto presente. Zygmunt Bauman, Retrotopia
Il passato diventa così una comfort zone, non un passato reale ma un passato come potrebbe essere immaginato, manipolato a adattato alle nostre esigenze. Una fuga dalla realtà al contrario che non è unicamente solitaria. Bauman infatti descrive tre atteggiamenti retroutopistici differenti. Innanzitutto il ritorno al Leviatano, il mostro sovrano dei mari a cui tutti gli altri pesci devono essere sottomessi. In Hobbes lo stato naturale primordiale di conflitto (homo hominis lupus) in cui tutti sono in guerra contro tutti era interrotto dall’investitura di un capo che assicurava la pace e la sicurezza in cambio della libertà totale. Nei tempi attuali non esiste, per Bauman, un unico sovrano ma tanti centri di potere leviatani a cui nostalgicamente affidarsi chiedendo protezione. Un altro atteggiamento è quello tribale. Il modello di tribù ritorna per assicurare sopravvivenza all’individuo immerso nel mondo competitivo e spietato dell’economia di mercato: l’altro è alleato contro i nemici dell’altro gruppo. Nel clima di privazione universale che è alla base della società dei consumi, bisogna stringere alleanze e muovere guerre particolari, come gli uomini antichi. Il terzo atteggiamento è il ritorno al grembo, il luogo della solitudine protetta in cui nascondersi dalle insidie della sovrabbondanza.
Il nirvana del ritorno-al-grembo-materno è l’utopia creata a misura della sovrabbondanza eccitante, ma
anche terribilmente logorante: di opzioni, scelte, sensazioni seducenti, attrazioni gradevoli, mosse possibili e dei rischi di sconfitta di cui sono colme tutte queste cose. Zygmunt Bauman, Retrotopia
Il grembo materno come un Nirvana in cui isolarsi, in cui scegliere di non scegliere, completamente deresponsabilizzati, il ritorno ad un mitico stato primordiale, senza rischi, senza doveri, senza l’altro. La stessa responsabilità che è espressione di libertà e di impegno con l’altro diventa una questione privata, senza vincoli esterni, una questione da risolvere individualmente senza implicare le ricadute sugli altri, le promesse da mantenere, gli obblighi da rispettare. Un mondo senza gli altri, un finto grembo primordiale in cui affogare con infiniti desideri insoddisfatti:
senza conflitti e interferenze, né rivali che si diano da fare per sminuire il suo unico abitante e rubargli premi e privilegi (…) dove gli unici suoni sono gli echi dei nostri rumori, e le uniche visioni sono i riflessi delle nostre sembianze. Zygmunt Bauman, Retrotopia
Come guarire dalla tentazione di vivere una vita all’indietro, in un mondo immaginario che non esiste? Occorre recuperare la presenza dell’altro attraverso il dialogo. Il dialogo come incontro tra persone diverse che desiderano ugualmente incontrarsi pur non avendo la medesima idea. Il dialogo come ricerca di bene, di verità, di bellezza. Il dialogo come un cammino alla ricerca di senso insieme all’altro. Forse con la stessa ansia di fuga dei discepoli di Emmaus, terrorizzati da una storia comune. Compagni di viaggio in una strada che necessariamente non porta alla fine ma ad un nuovo inizio.