Chi non ha talento insegna.
Un’accusa sarcastica, provocatoria, spesso ingiusta. Soprattutto degradante e squalificante. La figura dell’insegnante nel mondo occidentale è vessata, banalizzata, impoverita, svalorizzata. Oggi gli insegnanti devono aggiornarsi, devono diventare comunicatori, animatori, facilitatori. L’insegnamento deve necessariamente farsi da parte, deve trasformarsi, modernizzarsi per servire la società, per preparare al mondo del lavoro, per essere utile. I programmi sono stilati non per la crescita dell’individuo nella società ma in funzione delle agende produttive o per l’ideologia dominante. Conseguentemente gli insegnanti sono privati della libertà educativa. La scuola è al collasso perché risponde alla logica procedurale del saper fare: l’obbiettivo finale di tutti i corsi, le unità didattiche, gli incontri di deformazione professionale. Fare. Per questo la scuola degli uomini liberi che si incontrano per formarsi al bello, al buono e al vero deve essere sostituita dalla scuola agenda, la scuola per lo sviluppo sostenibile.
Chi è responsabile della catastrofe (etimologicamente significa rivoluzione) educativa? In primis i docenti. Gli insegnanti sono stati complici passivi della disfatta. Se avessero agito con più sapienza, se avessero almeno risposto con meno entusiasmo e solerzia alle indicazioni richieste, forse avremmo avuto più tempo per capire, spiegare e agire. Un insegnante è innanzitutto uno studioso, un artigiano, un educatore, una persona che segna interiormente i suoi studenti: in-signo cioè mettere dentro un sigillo. Questo non serve al sistema che invece ha bisogno di servitori.
Insegnare richiede conoscenza e libertà. Per essere liberi occorre possedere e generare virtù. La virtù è in un certo senso il trascendentale (kantianamente parlando) dell’insegnamento come condizione di possibilità necessaria affinché si possa trasmettere il sapere. Travolti dalla burocrazia, dalla pressione familiare e sociale, travolti dai repentini cambiamenti digitali e dalle attività progettuali, gli insegnanti hanno perduto o stanno perdendo le loro intrinseche prerogative. In altre parole la moneta del sapere ha perso il suo corrispettivo aureo perché possiede meno preziosità, ha perduto il suo valore. In un mondo che ha perduto il piano metafisico è molto difficile andare al di là del proprio sguardo. Se l’insegnante basa la sua azione esclusivamente sui risultati immediati cadrà inevitabilmente nello sconforto e nella frustrazione.
Come un agricoltore, l’insegnante coltiva i suoi studenti: prepara il terreno, butta il seme, fertilizza e cura la pianta. Ci sono piante che germogliano prima e altre che produrranno frutti postumi. Qualcuna non germoglierà. Per tutte occorre amore. Amare nel suo significato di cura, responsabilità, dedizione. Parimenti è necessario acquisire la virtù della speranza. Se un insegnante perde la speranza, la consapevolezza cioè che il mondo non finisce nei suoi tristi pensieri, che ciò che appare perduto forse è solo in trasformazione, se un insegnante perde la speranza allora non ha più senso insegnare. Se un agricoltore basasse la cura delle sue piante unicamente sui dati immediati e oggettivi non arriverebbe al raccolto. Quando il seme è sommerso dalla terra, non è morto. L’agricoltore non può sapere se arriverà a germogliare. Se ha bisogno di pioggia guarda il cielo con timore e tremore ma in attesa dei frutti. Come un agricoltore l’insegnante matura nel corso degli anni la fiducia che etimologicamente rimanda all’osservare i patti, a mantenere le promesse, ad essere leali. La fede è la virtù della lealtà in cui è richiesto di non barare, di non ingannare, di non andare oltre il patto stipulato, di rimanere nel campo assegnato. L’agricoltore rimane a lavorare la terra affidata anche durante le avversità, soprattutto durante le avversità. La fede è una virtù provata.
La virtù è la condizione possibilità necessaria che implica libertà. Senza libertà non si può insegnare e non si può imparare. Non è possibile nemmeno lasciare lo studente nelle sue scelte, nell’accogliere o rifiutare l’insegnamento, nel percorrere la strada che qualcun altro ha stabilito per quella pianta particolare. Questo è forse l’obiettivo perduto: insegnare ad essere. Ma come può un insegnante portare i suoi studenti ad essere se si vive in tutt’altra dimensione?
Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è. (S. Ignazio di Antiochia)