Contemplare l’icona della Trinità di Rublev è un esercizio di svelamento dell’amore.
L’icona fu commissionata per la canonizzazione di San Sergio di Radonež, fondatore del monastero. L’abate del monastero chiese a Rublëv di rappresentare la Trinità in modo da evidenziare l’unità che essa conferisce alla Chiesa. L’opera raffigura i tre angeli in visita ad Abramo seduti attorno a un tavolo, in un’atmosfera di pace e serenità. L’icona non rappresenta solo una scena biblica, ma diventa uno strumento di partecipazione e trasformazione: invita lo spettatore ad entrare in una festa di amore, dono e accoglienza.
L’amore desiderativo, l’amore generativo, l’amore curativo ha una dimensione relazionale. Non si risolve in una pratica egoistica. Non siamo monadi, abbiamo bisogno dell’altro. Da soli non ci conosciamo. La nostra identità nasce, cresce, vive e muore nell’accesso all’alterità. Abbiamo avuto la possibilità di nascere perché qualcuno ci ha accolto e ci ha curato. Eravamo piccoli e indifesi. Senza l’altro non avremmo avuto la possibilità di venire e rimanere nel mondo. Amati scopriamo chi siamo, amati possiamo riamare. Da adulti diventeremo capaci di volere il bene dell’altro nella misura in cui accettiamo questo processo generativo.
Ma l’amore della Trinità di Rublev mostra un volto dell’Amore ancora più profondo. L’amore autentico non è duale. Ha bisogno del terzo incomodo che redime la tensione conflittuale della coppia. Si ama lasciando all’altro la possibilità di amare.
Un uomo ama una donna, una donna ama un uomo.
La relazione è finita, completa. Non c’è spazio per altro amore.
Amore genitoriale, amore ideale, amore sociale, amore parentale, amore amicale. Amore sacro.§
L’inganno del possesso dell’altro si consuma nella sua binarietà. Le tre persone dell’icona stanno in una relazione vivificante perché interagiscono nella contemplazione dell’amore degli altri. Se osservo mia moglie mentre riesce ad amare un’altra persona non provo gelosia ma gioia perché questa esperienza tornerà a me come una crescita della nostra relazione. Qualcuno ama…qualcuno sta generando una relazione significativa all’interno della nostra casa, all’interno del nostro spazio. Non potrà amare nessun altro come il marito a meno che il marito non sia venuto meno alla sua vocazione. Ma cosa dobbiamo intendere con vocazione all’amore?
Amare significa permettere all’altro di coltivare i molteplici amori, le dimensioni personali più profonde. Quante ragazze rinunciano a suonare, ad uscire, ad avere amiche ed amici per compiacere il demone della gelosia di fidanzati immaturi? Quanti uomini portano con sé l’immagine edipica di una madre soffocante, eterni adolescenti insicuri, professionisti in lavori che hanno scelto per non deludere i genitori? Quanti sacerdoti sono ingabbiati in meccanismi clericali di potere, impiegati del sacro, senza la minima coscienza di chi amano davvero? Amare significa accogliere il terzo. Anche una coppia per quanto armoniosa, compatibile, collaudata necessita dell’arrivo di ciò che destabilizza. Un figlio destabilizza. Una malattia destabilizza. Una crisi destabilizza. Una missione destabilizza. Amare è permettere all’altro di crescere in libertà. Rischiando di perdere l’idea dell’altro, il controllo sull’altro.
Per questo l’amore ha sempre un collegamento con il sacro. La sacralità della vita, la sacralità dell’amore. Qualcosa che attrae e incute timore. L’amore ferisce. Sempre. Non è l’odio il sentimento contrario all’amore. Ciò che contraddice profondamente l’amore è l’indifferenza. Quando odio qualcuno provo ancora qualcosa. L’indifferenza à nichilista, non ha preferenze, svuota la realtà della sua essenza. L’amore ferisce chi lo prova e chi lo subisce. Come il tronco di un albero tagliato mostriamo il nostro vissuto: parole e gesti di amanti insoddisfatti, traditi e traditori, appassionati o stanchi. Vivi o morti.
Non si tratta di essere credenti per confrontarci con l’icona della Trinità. La contemplazione dell’amore è propria degli esseri umani, spetta a coloro che accettano la sfida della vita. Finché si è bambini il nostro modo di amare è spontaneo, ingenuo. L’amore diventa maturo nelle stagioni finali quando le possibilità diminuiscono, rimani solo con i tuoi ricordi, accumuli rimpianti. Forse sarai passato per la disillusione, avrai scoperto che di spazi ne hai avuti pochi e ne hai concessi pochissimi. Se avrai amato sarai come un albero piantato lungo i corsi d’acqua, senza foglie o senza frutti ma ancora capace di vivere. Alla fine non rimarrà il successo, il potere, il benessere. Alla fine, l’ultima parola, la definitiva. L’Amore.