La coscienza: un’interpretazione

Alcune spiegazioni del racconto “La coscienza” che ho pubblicato qui

La coscienza non è l’io. L’essere umano è un Io, soggetto che pensa, vuole, agisce. Contemporaneamente ha una coscienza, il suo bene più caro e profondo. La coscienza è l’intimo sacrario dove si ritrova insieme a se stesso e alle dimensioni che decide di coltivare.

Nel racconto, la coscienza è la casa che l’uomo abita nella sua intimità. Una bella casa che si affaccia sulla montagna, sul mistero che quotidianamente si propone ai nostri occhi. La casa possiede un interno e un esterno. Entrambi sono gli spazi della nostra coscienza. La pianta di fichi richiama l’albero biblico della conoscenza del bene e del male che cresce e diventa rigoglioso in un giardino ben curato. Il giardino infatti richiede cura e vigilanza, può essere facilmente infestato perché l’erba buona e l’erba cattiva crescono insieme. Così nel mondo la coscienza deve rapportarsi a ciò che è esterno: anche di fronte all’accettazione feconda del bene, l’uomo può essere sommerso dal male.

Esiste anche un interno che l’uomo costruisce per conservare i suoi tesori più preziosi: la moglie e il figlio. La moglie è simbolo dell’alterità, il figlio della posterità. L’uomo sa che genera vita unicamente fuori di se stesso e che il passato non è il tempo dell’amore e della speranza. L’uomo ha un compito fondamentale: prendersi cura della coscienza.

Cosa accade se la coscienza è occupata da un altro, cosa succede se non ci prendiamo cura della casa?

Un giorno arriva un vicino, non un prossimo. Il vicino è una persona, qualcuno che apparentemente ha buone intenzioni. Non vive lontano da noi, condivide lo spazio attiguo, potrebbe creare alcuni problemi o potrebbe risolverne altri. Questo vicino si presenta inizialmente in modo amichevole, rassicurante. Ci fa i complimenti per la bella casa che abbiamo, esalta la nostra voluttà. Non sembra un tipo ostile. Addirittura vuole lavorare per noi il giardino. L’uomo del racconto è consapevole di quanto sia impegnativo lavorare il giardino e in fondo non vede nulla di male nel ricevere una mano per eliminare le erbacce. In realtà il vicino del racconto è esperto di piante selvatiche ma non dice di volerle eliminare. Non sarà mica esperto perché in realtà le sa produrre, è in grado cioè di infestare i giardini?

L’uomo del racconto si mette a riposare, beve una birra mentre il suo vicino indossa la sua tuta da lavoro e utilizza i suoi attrezzi: il vicino lo sostituisce e inizia ad essere lui.

Il vicino entra nella sua casa quando manca la luce. In un momento di difficoltà arriva un aiuto inaspettato. Non c’è luce e il vicino la porta. Quante volte non siamo in grado di vedere per mancanza di luce? Se soltanto avessimo un pochino di luce! Un desiderio così innocente potrebbe corrompere anche l’animo più saldo: l’animo immerso nell’oscurità farebbe entrare anche il diavolo per vederci chiaro! Quando non vediamo rischiamo di amare le cose sbagliate, rischiamo di far fare i lavori di casa ai vicini e rischiamo di mettere il vicino alla nostra tavola, diventiamo ciò che mangiamo.

Il vicino entra nella sua casa anche per insegnare a suo figlio la tabellina del quattro, a moltiplicare cioè questa intrusione, a propagare questo asservimento nel figlio. L’uomo ipoteca il suo futuro, lo mette nelle mani di quella presenza amichevolmente ostile. Forse per pigrizia o per incuria. La coscienza infatti va mantenuta in forma. Chi è disabituato ad allenarsi ha una coscienza che non sopporta la fatica, che non sopporta di occuparsi degli altri. A volte gli altri si occupano di noi, entrano nella nostra sfera intima per saccheggiare i beni più preziosi. Forse lo fanno con buone intenzioni ma sono sempre e comunque devastanti. Non aiutano, infettano. Una coscienza infettata è soggetta all’ansia del divenire. Perché non ha tempo per suo figlio, non ha tempo per generare.

Il vicino entra nella sua casa nella stanza da letto dove è secretata la parte unitiva e procreativa, la parte che vuole unirsi e dare vita. Il vicino entra nel Sancta Sanctorum per incistare nella coscienza l’adulterio. Un vino adulterato è un vino che è stato avvelenato, che ha subito una modificazione della sua bontà. La corruzione della porta semi chiusa, la consumazione dell’amore che per sua natura è casto nel cuore di ogni uomo. Quasi possiamo spiare l’adulterio, quasi possiamo vedere dal di fuori ciò che è dentro la parte più intima della coscienza e vorremmo fermarla, prima dell’irreparabile. Il vicino, si sa, ha preso ormai confidenza, abita quella casa come fosse sua, anzi ora è la sua casa. Per questo ride in modo arrogante. Se lo può permettere, in quando signore della primitiva libertà. L’uomo ha infatti concesso spazio al vicino, ha dato potere sulla sua casa.

Accade poi che arriva l’ultima mattina. Arriva sempre. Quando nella ripetizione di gesti abitudinari la coscienza inizia ad aprire gli occhi. Vede il suo giardino ormai spoglio: il bene e il male non ci sono più. Il fico è spoglio. Cosa è bene? Cosa è male? Una coscienza corrotta non distingue più il bene dal male. Ma non lo fa con cattiveria. Semplicemente inizia a vedere le conseguenze della sua incuria. Il tormento porta alla riflessione e all’azione. Bisogna correre a casa. Bisogna fare presto. Ma ora la chiave non gira più, la serratura è stata cambiata. Il vicino è ora dentro casa e non vuole uscire. La coscienza è ora compromessa, ha perso la sua libertà. Non si è più padroni in casa propria.

Chi è il vicino? Il vicino che attenta alla libertà della coscienza è una persona: l’amico, il fidanzato, il marito, il medico, l’insegnante, il prete, il padre, la madre, il diavolo. Tutti sono potenziali vicini nella misura in cui desiderano possedere altre case. Sta a noi comprendere che il vicino ha lo spazio che noi concediamo, il potere che gli riconosciamo. Ogni annullamento della coscienza implica il dominio di un’altra persona. Non riconosciamo a nessuno il titolo di signore, perché uno solo è kyrios.

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