Il termine egemonia è nato nell’antica Grecia, e deriva dal verbo ἡγέομαι, letteralmente condurre, portare avanti. Senofonte riflette nelle Elleniche sul problema dell’egemonia tebana. Nell’antica Grecia le città erano riunite in leghe ma di fronte a pericoli imminenti o decisioni di politica estera, fondamentali per la sopravvivenza degli stati, affidavano il potere di guida ad una sola potenza, appunto lo stato egemone. In linea teorica, gli stati affidavano le proprie risorse economiche e militari ai sovrani e ai magistrati dello stato egemone. In età classica l’egemonia di Sparte e Atene si estendeva anche alla dimensione spirituale in quanto incarnavano due ideali politici molto differenti: gli stati finirono per essere sottomessi alla forza militare di Sparta e alla ricchezza culturale di Atene. Per esempio la lega attica era inizialmente un’alleanza difensiva di circa 400 città. Inizialmente prevedeva la parità fra gli alleati che versavano un tributo custodito nel santuario di Apollo a Delo come quota associativa. Gli ateniesi modificarono strategicamente la lega difensiva in uno strumento di egemonia. Atene decideva l’ammontare del tributo, disponeva le alleanze, impediva di uscire dalla lega, condannava chi non era disposto ad usare pesi e misure ateniesi e la dracma nei commerci. Addirittura nel 454 a. C il tesoro di Delo fu trasferito ad Atene. Gli alleati erano diventati sudditi. Senza accorgersene avevano perduto la loro autonomia.
A distanza di parecchi secoli il termine egemonia ritornò nelle riflessioni di un altro studioso, aggiornata alle trasformazioni sociali e politiche del ventesimo secolo. Nei Quaderni dal carcere Antonio Gramsci descrive il rapporto tra governanti e governati dal punto di vista dell’egemonia culturale
Ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale. A. Gramsci, Quaderni dal carcere
Alla base del potere si trova la necessità di stabilire rapporti intimi tra chi dirige e chi deve essere diretto. Gramsci stabilisce uno stretto collegamento tra egemonia politica ed egemonia culturale. Senza l’appropriazione, la produzione, il controllo della cultura, difficilmente è possibile controllare le masse. In un altro celebre passo Gramsci si sofferma sui tempi e i modi di tale programma
La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale” (…). Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare a essere anche “dirigente”. A. Gramsci, Quaderni dal carcere
Molti intellettuali sembrano aver dimenticato questa lezione o forse l’hanno compresa fin troppo bene! Il potere nella sua più cruda e intrinseca essenza non mira a creare uno stato giusto o a favorire lo sviluppo dei popoli. Il potere mira esclusivamente ad accrescere se stesso sfruttando il consenso delle masse, subalterne quel tanto che permette la loro obbedienza. L’egemonia culturale vuol essere una direzione intellettuale e morale: il potere pretende fedeltà assoluta contraccambiando con la concessione di esigenze fondamentali, materiali e spirituali, del popolo-nazione. Anche dopo la conquista del potere, il gruppo dirigente deve dirigere l’alimentazione dei bisogni delle masse. Il dominio e la direzione intellettuale e morale non avvengono solamente con la forza o esclusivamente su base materiale. Prima ancora di controllare e dirigere , il potere deve catechizzare i governati e gli apparati di controllo: i libri, i film, gli spettacoli, le agenzie educative e culturali in generale non sono forse i canali diretti per affermare l’egemonia culturale? Tutto quello che sta avvenendo in questi ultimi due anni, la possibilità per chiunque di esporre un pensiero critico, un dubbio, una tesi diversa, un bisogno di approfondimento non è costantemente contrastato nella vita reale e nella vita virtuale dei media? Come mai certi spazi televisivi sono sempre occupati da dubbi personaggi anche in presenza di pessimi ascolti? Perché i social escludono gli utenti che semplicemente non sono allineati al pensiero unico e permettono invece la sopravvivenza di contenuti violenti, pornografici, addirittura satanici? Cosa c’è dietro questa impossibilità di trovare spazio, ascolto, rilevanza? Non siamo come il Dottor Faust che accetta di vendere l’anima al diavolo per qualcosa che alla fine lo danneggerà? Non ci accontentiamo dell’apparente benessere occidentale accettando un certo modo di parlare, di essere e di pensare?
Per coloro che cercano di non assecondare lo spirito del tempo e si propongono di cercare una via alternativa non sono giorni buoni: è molto facile precipitare nello sconforto o nella follia. La regola del potere è non avere regole. Fritz Lang è stato uno tra i più grandi registi tedeschi, per alcuni il simbolo stesso del cinema, suo il memorabile e visionario film Metropolis del 1927. In una celebre intervista Lang racconta del suo incontro con il ministro della propaganda nazista Goebbels. Il regista era molto preoccupato per la sua vita, poiché era di origini ebree e stava realizzando dei film controversi. Lang rimase sconcertato quando invece Goebbels gli offrì la prestigiosa carica di Dirigente dell’industria cinematografica tedesca. Lang con un certo imbarazzo fece notare le sue origini ebraiche. Goebbels non si scompose e rispose
Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!